Il gender pay gap

Non soltanto un gesto di galanteria. Ma un effettivo impegno contro il forte squilibrio salariale di genere. Ha fatto notizia in giro per il mondo la sforbiciata volontaria di 34 mila sterline al proprio stipendio che all’inizio dell’anno a Londra il nuovo amministratore delegato della compagnia aerea britannica EasyJet Johan Lundgren si è dato per allinearlo a quello del suo predecessore donna, Carolyn McCall. Una taglio che ha ridotto la retribuzione annua del manager da 740 a 706 mila sterline.

Un gesto contro il gender pay gap, ovvero la differenza tra i salari orari lordi medi di uomini e donne espressi in percentuale del salario maschile che Oltremanica raggiunge i record – che hanno fatto molto discutere – dell’88% nel gruppo tessile Rectelia o di quasi il 60% (in costante crescita) in Hsbc, uno dei più grandi gruppi bancari al mondo.

L’annuncio di Lundgren è arrivato guarda caso dopo che sul tema anche l’Onu ha lanciato l’allarme. L’Organizzazione delle Nazioni Unite non ha certo fatto giri di parole per descrivere una situazione che vede le donne guadagnare nel mondo in media il 23% in meno degli uomini. “Siamo di fronte al più grande furto della storia”, ha sentenziato infatti. Per ogni dollaro guadagnato da un collega maschio, una donna guadagna in media 77 centesimi e l’Onu ha certificato come non vi sia un solo Paese né un solo settore in cui le donne abbiano gli stessi stipendi degli uomini.

Fortunatamente, vi sono delle differenze fra Paesi. Tra quelli più sviluppati al mondo dell’area Ocse, si va dal gap del 36% in Corea del Sud alla differenza del 5% del
Lussemburgo. Range in cui si situano i picchi di Estonia (25%) e Repubblica Ceca (22%) e di Germania e Regno Unito (21%). Secondo Eurostat, nell’Unione europea a 28 le donne in media guadagnano circa il 16% in meno degli uomini.

Il gender pay gap era del 16,3% nel 2015 e del 5,5% in Italia, in riduzione dal 7% del 2013 e dal 6,1% del 2014. Un livello che l’anno scorso (ultimi dati disponibili) è ulteriormente sceso al 5%. Anche l’Istat certifica come il nostro Paese abbia il differenziale salariale di genere tra i più bassi in Europa (calcolato, secondo gli standard internazionali, per il totale dell’economia, compreso il settore pubblico): tale risultato è la sintesi di un valore molto basso per il settore pubblico e di un valore per il settore privato, invece, in linea con gli altri Paesi europei.

Insomma, per una volta a prima vista il nostro Paese si situa virtuosamente fra le best practice del Vecchio Continente, perché dalle statistiche risulta abitualmente un gap di salario complessivo (non spacchettato per livelli di inquadramento) fra uomini e donne molto contenuto.

Ma c’è un però. Il mondo in cui viene costruito da Eurostat il gender pay gap non tiene conto del fatto che gli aspetti da considerare nel divario salariale sono molti: si va dalla minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro fino al diverso livello delle qualifiche.

Le lavoratrici, per esempio, hanno meno ore retribuite, operano in settori a basso reddito e sono meno rappresentate nei livelli apicali delle aziende. In più, ricevono in media salari più bassi rispetto ai colleghi maschi per fare esattamente lo stesso lavoro (differenza che generalmente si amplia in relazione all’età e alla presenza di figli). Così, il divario nella retribuzione media oraria finisce per rappresentare solo una parte della disparità di salario complessivo tra uomini e donne.

Se al contrario, fa notare in un articolo sul tema il Sole 24 Ore, si considerasse la retribuzione media annua, il differenziale si allargherebbe per il minor numero di ore lavorate da parte componente femminile. Gap che crescerebbe in misura anche maggiore se si considerasse poi il basso tasso di occupazione delle donne in Italia.

Proprio per questo Eurostat ha sviluppato un indicatore, denominato gender overall earnings gap, che misura l’impatto di tre fattori tra loro combinati (guadagni orari, ore retribuite e tasso di occupazione) sul reddito medio di uomini e donne in età lavorativa per fornire un quadro più preciso dello squilibrio di genere: nel 2014 (ultime elaborazioni disponibili, vedi tabella), in tutta l’Unione europea il valore osservato del gender overall earnings gap era del 39,6% contro il 43,7% dell’Italia. Numeri che restituiscono così un quadro più corretto della disparità nel mondo del lavoro fra uomini e donne nel nostro Paese.